Esercizi spirituali intineranti 2023
II Riflessione di padre Rosario Giannattasio
Chiamati a vivere un tempo di rigenerazione.
La mia riflessione nasce dall’essere nell’abbazia di Cava.
Il “ricominciare” è un tema tipico del monachesimo.
L’esperienza monastica nasce quando passato l’entusiasmo, il fervore iniziale, molti cristiani si scoraggiano, si lasciano andare.
Questa crisi salda con la caduta dell’Impero Romano: uno sconvolgimento socio-politico di dimensioni immani. Era un cambio d’epoca.
Anche oggi siamo in un cambio d’epoca come allora.
Il clima che respiriamo è di disfattista.
- Se si parla di sanità? È tutto un disastro; i medici sono incapaci, gli ospedali non funzionano.
- Se parla di scuola? Gli insegnanti non fanno niente, sono impreparati.
- Se si parla di politica? È una cosa sporca; tutti i politici sono corrotti, ladri.
- Se si parla di chiesa, di preti? Lasciamo perdere.
Indubbiamente vi è una buona parte di verità in queste lamentele.
Rischiamo una esperienza di nausea, la tentazione del lasciarsi vivere, del vivere tanto per vivere, del fare le cose solo perché si deve o perché si è sempre fatto così, senza più entusiasmo, senza crederci troppo.
Siamo il risultato della storia della società nella quali siamo nati, dell’educazione che abbiamo ricevuto, di un insieme di dati genetici, biologici, psicologici …
Siamo condizionati già alla nascita, siamo condizionato da quella che è stata la nostra vita, dalle scelte che abbiamo fatto, dai nostri successi e/o fallimenti, dalle persone che ho incontrato lungo il mio cammino.
Tutto questo va accolto, accettato in profondità, con amore, vorrei dire con tenerezza; solo dire di sì al proprio passato ci permette di elaborarlo, di lavorarci sopra in vista di una rinascita, per potere cioè, nella mia libertà, creare qualcosa di nuovo, fare della mia vita qualcosa di bello e di buono.
In termini cristiani siamo invitati alla conversione.
La conversione non è il passaggio da uno stato all’altro, ma è un cammino, una via.
Non possiamo mai dire: “Sono a posto, sono arrivato, adesso sono cristiano”.
Siamo chiamati a una continua conversione.
Rinascere è accogliere la vita in modo nuovo.
Qui vorrei ricordarvi alcuni episodi-icone che possono diventare icone su cui riflettere nel vostro cammino verso l’Avvocatella.
- Giovanni il battista è in prigione scoraggiato, manda a chiedere a Gesù se è veramente il messia … o è stata tutto una illusione
Gesù risponde: “I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti resuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Mt 11,5).
Il Battista deve andare oltre alla sua speranza di un messia potente per Messia che genera vita nella compartecipazione al dolore e alla morte.
Se guardiamo al vangelo, troviamo che spesso i discepoli hanno dovuto imparare a convertire le loro speranze.
- I discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), sono delusi.
La vita non è andata come loro speravano, secondo le loro speranze, i loro sogni, le loro illusioni.
Quante volte mi è venuto da pensare che, una volta risorto, Gesù avrebbe potuto scegliere altri discepoli, più saldi, più affidabili, più forti …
No. Gesù risorto ricomincia, ricomincia da capo con gli stessi, li va a cercare, si mette accanto a loro sul loro cammino e ricomincia a spiegare le Scritture.
Solo quando i discepoli lo invitano a restare, pone quel gesto: prende il pane, lo benedice, lo spezza, lo distribuisce.
È la sua vita che è vita eucaristica, spezzata per stare accanto a questi poveri uomini e amarli e sostenerli nel crollo delle loro speranze.
Ricordate quando subito la speranza rinasce, perché qualcuno si è fatto vicino, ha fatto un pezzo di strada con noi.
La speranza non dobbiamo ancorarla al raggiungimento di opere, progetti, risultati gratificanti.
La nostra unica risorsa è la presenza di chi viene accanto a noi lungo il nostro cammino e ci riscalda il cuore.
- Il dramma vissuto dalla comunità cristiana primitiva ( Cf 2Pt 3,3-16) quando avete tempo leggetelo
In questo cammino ripartiamo da questa Parola di San Paolo: “Dimentico del passato, tendo verso ciò che sta innanzi “(Fil 3,13) e ricordiamoci che Papa Giovanni XXIII chiamava la chiesa “la grande ricominciatrice”.
Essa è chiamata a testimoniare la speranza di una nuova vita per tutti.
Questo incessante ricominciare riguarda il singolo credente, la chiesa e ogni comunità cristiana.
Questo abbiamo da portare a noi stessi e agli altri: la speranza che il regno è vicino, che la vita è più forte della morte, che il Signore è con noi fino alla fine del mondo, ogni giorno, in ogni evento.
Le nostre malattie, le nostre crisi, le nostre tenebre … si apriranno alla vita.
Siamo chiamati a credere e sperare che la vita è più forte di ogni contraddizione o forma di morte.
Gli Atti raccontano che Paolo e Barnaba ritornavano nelle comunità cristiane, che erano state perseguitate, e “ridavano vita ai discepoli e li esortavano a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”.
La sofferenza non è un bene, ma che c’è un disegno di Dio che passa attraverso la sofferenza.
Dietrich Bonhoeffer dal carcere (Resistenza e resa, Paoline, Milano1988, p. 236) “non tutto ciò che accade è volontà di Dio, ma in ogni cosa che accade c’è una via che conduce a Dio”.
In tutto ciò che ci accade è possibile cogliere un raggio di speranza.
Purtroppo, nell’attuale società occidentale non si spera, ma ci si difende da un futuro che appare minaccioso, inquietante.
È diventato difficile sperare.
Siamo immersi in una cultura che privilegia il presente, l’attimo che stiamo vivendo e che dimentica il passato, quanto al futuro … è meglio non pensarci.
I giovani di oggi parlano del “fare esperienza”, spesso senza un orientamento, senza la ricerca di un senso, con speranze a breve termine, “piccole”, perché è troppo difficile osare sperare e spesso queste speranze si fermano all’apparire e all’avere, in linea con una società dei consumi.
Del resto, come può esserci speranza quando mancano prospettive di lavoro, di giustizia, quando manca il senso del bene comune e prevale un individualismo esasperato?
Molte persone in cui si è sperato e sembravano dare speranza si sono mostrate inaffidabili; nuove realtà che ci facevano sognare si sono rivelate corrotte.
Di certo la speranza non è facile ottimismo.
Vi ricordo le parole della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, e tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, e tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
Possiamo imparare a diventare uomini, donne di speranza?
Uomini e donne che pongono nel mondo dei piccoli segni che interrogano sul senso della vita?
Senza indulgere al lamento occorre assumere la responsabilità di una speranza viva, attraversare la storia in cui siamo posti e in essa riconoscere la traccia della speranza … e allora si può far ritorno in comunità e annunciare che il fuoco nel cuore ricomincia ad ardere, a bruciare al calore delle Scritture e dell’Eucarestia.
Allora anche la nostra vita può diventare trasparenza della Parola, “evangelo vivente”, pane spezzato, “vita eucaristica”.
Le icone di prima ci dicono che le nostre speranze vanno purificate.
Non diamo per scontato che siano conformi al vangelo … mettiamo a morte altre speranze, che sono false speranze.
La speranza nasce da tante realtà in cui si cerca di vivere accoglienza reciproca, il rispetto dell’altro, in cui si cerca di vivere il compito di divenire “umani”
Due autori antichi un pagano e uno cristiano hanno due espressioni che possono aprire un orizzonte di speranza universale.
Terenzio: “Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo”.
Teofilo di Antiochia: “Mostrami il tuo uomo e ti dirò chi è il tuo Dio”.
Francesco parlando ai giovani ci propone lo stile di San Francesco di Assisi “ha fatto crescere la fede, ha rinnovato la Chiesa, e nello stesso tempo ha rinnovato la società, l’ha resa più fraterna, ma sempre con il Vangelo, con la testimonianza. Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole” (domenica 6 ottobre 2013).
Generemo speranza in noi e negli altri, se saremo uomini
che sanno stare con gli altri uomini capaci di condividere la passione per la vita coscienti che “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”. Proverbio brasiliano.