Missione e contesti

Osando camminare con gli ultimi generiamo speranza

Esercizi spirituali itineranti 2023

III iflessione di padre Rosario Giannattasio

Lo Spirito Santo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore.” Luca 4,18-19

La Missione di Gesù e anche la nostra si fondano su queste grandi parole di speranza: scopriamo che la grande passione di Dio è il povero, il cieco, il prigioniero, l’oppresso.

La grande speranza ricomincia, dalla periferia della terra, dai sotterranei della storia, da coloro che non ce la fanno.

La speranza di nuova creazione è nello sbilanciarsi nell’amore, rivolgendosi a tutte le povertà, alla fame di pane e a quella di senso.

È una speranza colma di vita non di cose, ma di persone. Da amare.

In quella sinagoga di Nazareth, come questa mattina tra noi, è l’umanità che si rialza, che riprende il filo della corrente verso la gioia, la luce, la libertà.

Non per propria forza, ma per un seme di luce venuto da altrove.

È Dio, vento della speranza che vuole ricomporre in unità i frammenti di questo mondo esploso per prendersi cura dei poveri, scoraggiati da tante cattive notizie, feriti nel cuore più che nelle membra, trattati come prigionieri dagli interessi dei potenti.

Medicando i nostri cuori feriti liberandoli da ogni schiavitù, ci farà, in forza del battesimo, ministri della riconciliazione e della libertà.

La testimonianza è di tutti e per tutti.

Sentiamoci viandanti che voglio camminare, con la gioia nel cuore, facendo nostre le parole di Francesco a Firenze nel 2015, “voglio una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà.”

È questa la Chiesa che speriamo di abitare:

  • Una Chiesa dalle porte aperte a tutti, perché tutti abbiamo bisogno di lei.
  • Una Chiesa dove non si celebrano solo i riti, ma dove si vive e si celebra la vita delle donne e degli uomini, intrisa di gioie e dolori.
  • Una Chiesa in uscita, samaritana, libera, fedele al Vangelo.
  • Una Chiesa povera.
  • Una Chiesa sinodale, in ascolto dello Spirito Santo.
  • Una Chiesa che lavi i piedi agli uomini e alle donne senza chiedere nulla in cambio, neppure il prezzo di credere in Dio.
  • Una Chiesa realmente prossima perché aperta, che abita lo spazio della prossimità nel modo dell’accoglienza e scevra di previe garanzie.

Questa speranza ha bisogno che ciascuno di noi si dia un tempo di ascolto, di comprensione della realtà e poi faccia le proprie scelte.

Non può essere il sentimento di un momento, ma il segno di ciò che già siamo diventati ed è ora il segno del futuro che desideriamo costruire è quello della Chiesa del grembiule.

Solo questa Chiesa terrà aperta quella finestra della speranza per il mondo dei poveri che continuano a rimanere sull’uscio delle nostre chiese, senza entrare, senza trovare spazi.

Sono gli ultimi che ci consegnano tra le mani il valore e la speranza della nostra vocazione missionaria.

È agli ultimi che il Signore affida il sogno di una Chiesa fedele al Vangelo che non confida nelle strutture e nei programmi ma nella misericordia del Padre.

Ricordiamoci che la presenza dei poveri in mezzo a noi non è frutto del caso ma conseguenza dello strutturarsi peccaminoso di relazioni.

Se accogliamo la speranza dei poveri e impegniamo la nostra vita ad ascoltarla e metterla in pratica, si rivelerà a noi e al mondo intero la giustizia di Dio.

Convertire lo sguardo vuol dire riconoscere l’efficacia della vita del giusto, dei crocifissi della storia, quale lievito di cambiamento, annuncio della vita compiuta nel far vivere. Al povero spetta sempre il primo posto per giustizia.

Il cammino è lungo perché si tratta di un cambiamento di prospettiva, di mentalità, di criterio.

I segni concreti di questo rinnovamento saranno il dialogo, il confronto, l’ascolto reciproco, l’andare incontro a tutti senza predeterminare situazioni e persone.

Siamo chiamati a vivere nella speranza di vivere una testimonianza capace di sporcarsi le mani con la vita e le fatiche di ogni giorno.

C’è un testo bellissimo di Tonino Bello. È la preghiera dell’addio alla sua terra di origine:

“Dai a questi miei amici e fratelli la forza di osare di più. La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo. Il fremito di speranze nuove. Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati a un mondo vecchio, che si dissolve, così come hai inchiodato me su questo scoglio, stasera, col fardello pesante di tanti ricordi. Dai ad essi, Signore, la volontà decisa di rompere gli ormeggi. Per liberarsi da soggezioni antiche e nuove. (…) Stimola in tutti, nei giovani in particolare, una creatività più fresca, una fantasia più liberante, e la gioia turbinosa dell’iniziativa che li ponga al riparo da ogni prostituzione.”

Quale postura abbiamo?

La postura non del ripiegamento, ma quella dell’affidarsi al barlume di una luce che si coglie da lontano per intraprendere il viaggio.

Rompere gli ormeggi che ci fanno stare in acqua, ma ben ancorati alla terraferma.

Siamo spesso in una dimensione di ambivalenza.

Timorosi di osare.

Che è un segno di invecchiamento.

La postura è quello che ci dice il termometro della nostra audacia, della nostra dismissione dai sogni.

Ormai ho 72 anni ma non ho perso, nonostante molte delusioni, la speranza di contribuire nel quotidiano a ridisegnare il volto di una Chiesa che vive radicata in questo tempo, in questo territorio, capace di abbracciare la condizione, le speranze, le difficoltà, di tutti i suoi figli.

Se ciò avverrà … meglio la morte.

Siamo noi se abbiamo uno sguardo missionario, come rami innestati nella vera vite che è il Signore Gesù, siamo chiamati a portare frutti di carità, di speranza, di annuncio, ovunque.

Il Signore stesso opera con noi, non siamo soli.

Ci chiama e ci manda.

Senza dimenticare mai che l’opera di Dio è più grande di noi e ci precede sempre.

Abbiamo bisogno di radicare il nostro sguardo nello sguardo del Signore per vivere una vita più discepola della fragilità… pertanto più attenta alla diversità delle lingue, delle culture, dei carismi.

Impariamo ad essere attenti all’altro, ad ognuno e ciascuno, a valorizzare ogni singolo talento, ogni singola storia è intrisa di speranze, di sogni, di desideri.

In essa si può trovare il segno della tenerezza di Dio, perché è Dio che si ferma accanto ad ogni uomo e a ogni donna e li cerca in tutta la loro bellezza, anche e soprattutto quando è attraversata da ferite.

Potrebbe piacerti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *