Oggi dobbiamo puntare la nostra attenzione sul cammino.
Scoprire la differenza tra camminare e fare un cammino; la differenza che c’è tra usare le gambe per spostarsi da un posto a un altro e mettere i tuoi passi al centro della tua esperienza.
Lo esprime molto bene Bruce Chatwin nel suo romanzo più famoso e più affascinante “Le vie dei canti”.
Le vie dei canti sono quei sentieri invisibili che gli aborigeni australiani chiamano “Via della Legge” o “Orme degli Antenati“, ma che gli europei conoscono come “Vie dei Canti” o “Piste del Sogno“.
“Si credeva che ogni antenato totemico, nel suo viaggio per tutto il paese, avesse sparso sulle proprie orme una scia di parole e di note musicali, e che queste Piste del Sogno fossero rimaste sulla terra come ‘vie’ di comunicazione fra le tribù più lontane.”
Chatwin cercò di teorizzare la sua intuizione che l’elemento costitutivo dell’uomo è il nomadismo.
Perché gli uomini invece di stare fermi se ne vanno da un posto all’altro?“
Da “La via dei canti”.
In principio.
All’inizio la Terra era buia e disseminata di buche profonde ai cui margini era ammonticchiata materia informe. Un giorno il Sole ebbe voglia di nascere, seguito la sera dalla Luna e dalle Stelle, e con i suoi raggi scaldò e animò quelle molli masse di materia. Erano gli antenati e dai loro corpi vivificati nacquero dei figli. Quando gli antenati aprirono gli occhi videro quegli esseri appena nati giocare attorno a loro. Ogni forma vivente è nata così: da un antenato dalle sembianze umane. Quando gli antenati si alzarono in piedi, si scrollarono il fango di dosso e iniziarono a camminare. All’inizio dissero “Io sono” e poi, ad ogni passo, diedero nome a tutto ciò che incontrarono. Percorsero tutta la terra cantando i nomi delle cose e intanto cacciavano, mangiavano, facevano all’amore. In ogni pista percorsa lasciarono una scia di canto. Alla fine si stancarono e lentamente tornarono alle loro buie dimore eterne.
Un giorno gli venne indicata la collina dove riposa l’Antenato Lucertola. E un uomo vestito “in celeste si alzò e cominciò a mimare i viaggi dell’Antenato Lucertola. Il canto era la storia della lucertola e della sua bella e giovane moglie: dal nord dell’Australia erano arrivati a piedi al mare meridionale e lì un abitante del sud aveva sedotto la moglie e rispedito lui a casa con una sostituta.” “Naturalmente, mi disse, quello che avevamo visto non era il vero canto della Lucertola, ma un falso fronte, una scenetta recitata per i forestieri. Il canto vero avrebbe enumerato ogni pozzo a cui beveva l’Uomo Lucertola, ogni albero da cui tagliò una lancia, ogni caverna in cui dormì durante il suo lungo cammino.”
Chatwin scoprì che nei canti non sono quasi mai le parole ad indicare i luoghi del lungo tragitto. Pensò fosse l’andamento melodico, un certo fraseggio musicale e la combinazione delle note, a descrivere il terreno in ogni suo andamento e i movimenti dei piedi dell’antenato che ad esso adeguavano ritmo e velocità. Si spiegò così il perché un uomo di una tribù di un angolo qualsiasi dell’Australia, capisce sempre quale regione venga cantata quando ascolta un uomo di un’altra lontanissima tribù, sebbene la lingua parlata da quest’ultimo sia incomprensibile e molto diversa dalla sua.
Un giorno partì per un viaggio insieme con un immigrato europeo e un nativo aborigeno. Subito restò sorpreso dal comportamento dell’aborigeno che, mentre l’auto proseguiva lungo le strade extra cittadine, con un fare continuo bisbigliava in maniera sempre più agitata e quasi ansiosa, fino quasi a non respirare. Finché non si voltò verso l’europeo immigrato per chiedergli cosa stesse farfugliando in quel modo il loro compagno di viaggio. Quegli gli rispose che stava ripetendo i nomi dei posti e delle cose che gli apparivano sulla strada come era abituato a fare e a ripetere ogni volta che percorreva quel cammino, solo che lo stava facendo più velocemente a causa della velocità dell’auto.
a cura di Massimo Bonavoglia