Secondo incontro di Scriptural Reasoning 2024: Lavoro
19 aprile 2024 – ore 19.00 online…
…e in presenza a Forlì presso il “Centro Pace” in via Andrelini 59.
Scriptural Reasoning 19.04.2024
Il lavoro nella Bibbia e nel Corano
I. Il valore del lavoro nel Corano:
- Di’: «Operate, poiché Dio vedrà la vostra opera e così anche il suo Messaggero e i credenti; poi verrete ricondotti verso Colui che conosce il palese e l’arcano. Allora Egli vi informerà su ciò che facevate» (Cor. 9, 105)
- «Quanto a quelli che credono e compiono opera buona, sì: avranno per ostello i Giardini del Paradiso in cui dimoreranno in eterno, senza mutamenti». Di’: «Se il mare si facesse inchiostro per scrivere le parole del Signore, certo il mare sarebbe esaurito prima che fossero esaurite le parole del Signore e persino se ne aggiungiamo uno uguale.» Di’: «Io sono un uomo come voi, nient’altro. Mi è stato rivelato che Egli è un Dio Unico, nient’altro, certo. Chiunque spera dunque di incontrare il Signore compia opera buona e nell’adorazione non associ nulla al Signore.» (Cor. 18, 107-110)
II. La Bibbia e il lavoro: storia di schiavitù e di libertà1
Iniziamo il percorso con Gen 2. Nel nostro immaginario cristiano associamo spesso il lavoro alle prime conseguenze del peccato originale, come se prima del peccato originale non si dovesse lavorare. Se invece leggiamo attentamente il racconto della creazione in Genesi 2, incontriamo questa frase: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo depose nel Giardino dell’Eden, perché lo lavorasse e lo custodisse» (v. 15).
Questo accade prima del peccato; è una decisione divina che segue immediatamente la creazione dell’uomo e del giardino. Il primo essere umano nel giardino ha due compiti: la custodia e il lavoro del giardino. Alcuni esegeti vanno più lontano e traducono «perché lo servisse [cioè il giardino] e lo custodisse», poiché il verbo che noi traduciamo con «lavorare» significa anche «servire».
Questo fatto permette di trarre una prima conseguenza importante per la nostra riflessione: il lavoro esisteva già prima del peccato. La sola cosa importante che cambia con il peccato è il carattere difficile, penoso, fastidioso e alienante del lavoro. Pertanto, il lavoro non è un castigo di per sé, né fa parte delle conseguenze del peccato; fa piuttosto parte della dignità della creatura di Dio.
Quando passiamo al libro dell’Esodo, vediamo come il lavoro può essere degradato e sfruttato. Il lavoro d’Israele in Egitto era una servitù. JHWH poi libera il suo popolo e lo fa passare dalla servitù al servizio. L’esperienza dell’esodo descrive molto bene qual è la differenza fra l’uno e l’altro. All’inizio del libro dell’Esodo Israele si trova in Egitto, si moltiplica e diventa molto numeroso. Allora il faraone, che non aveva conosciuto Giuseppe, s’impaurisce, decide di ridurre Israele in servitù e così di impedire al popolo di moltiplicarsi troppo. Questo appare chiaramente nel testo di Es 1,8-12
«Ebbero paura»: così si traduce normalmente, però l’ebraico ha una parola più forte: «furono disgustati», come se il popolo d’Israele fosse diventato per loro un incubo. «Allora – continua il testo – l’Egitto sottopose i figli d’Israele ad un lavoro massacrante, amareggiavano la loro vita con un duro lavoro per fare argilla e mattoni, con ogni genere di lavoro nei campi, ogni specie di lavoro massacrante con cui li fecero lavorare» (vv. 13-14).
Qual è la differenza tra il lavoro e la servitù? Per rispondere alla domanda occorre leggere il c. 5 dell’Esodo. Questo capitolo presenta la prima missione di Mosè e il suo fallimento. Mosè chiede al sovrano egiziano di liberare gli israeliti. Quest’ultimo rifiuta e decide invece di aumentare il loro lavoro. Concretamente, non sarà più data loro la paglia per fabbricare i mattoni, ma dovranno cercarsela loro stessi; nondimeno dovranno fornire la stessa quantità di mattoni. In questo brano possiamo rilevare tre caratteristiche della schiavitù:
(a) Il fatto che la persona viene sottomessa al lavoro come tale e non ha più alcuna libertà; in altre parole, non può più decidere da se stessa cosa intraprendere, ma decide un altro quel che si deve fare.
(b) La schiavitù elimina la creatività, perché tutto viene determinato da chi ha ordinato il lavoro.
(c) Infine, ed è un punto molto importante: il lavoratore viene sottoposto a delle norme «matematiche», cioè il numero prestabilito di mattoni conta più della persona. Questa è la schiavitù quale la descrive in termini concreti il libro dell’Esodo.
Come reagisce Dio? Prima di tutto egli ha pietà del suo popolo e la sua risposta, una risposta concreta come tutte le risposte di Dio, è Mosè. Dio sente il grido del suo popolo, che soffre in Egitto e manda Mosè. Soffermiamoci sul testo che si trova al c. 6 del libro dell’Esodo, vv. 2-8: «Io sono il Signore! Vi farò uscire dalle fatiche dell’Egitto. Vi libererò dalla loro servitù e vi riscatterò con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò per me come mio popolo e sarò per voi Dio e saprete che Io sono il Signore vostro Dio che vi ho fatto uscire dalle fatiche d’Egitto. Vi ricondurrò alla terra per la quale ho alzato la mia mano giurando di darla ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe e ve la darò in eredità. Io sono il Signore!”» (Es 6,2-8).
Per quale motivo il Signore vuol liberare il suo popolo? Israele è per ora un popolo di schiavi. Per l’Antico Testamento e per tutto il Medioriente antico uno schiavo non è una persona, è piuttosto una non persona che non ha vera e propria esistenza. Per la Bibbia la persona è persona libera; se la persona non è libera, è una cosa. Perciò la descrizione della liberazione d’Israele non significa un semplice passaggio dalla non libertà della schiavitù alla libertà. Significa piuttosto che Israele passa dalla non esistenza all’esistenza.
Questi versetti riassumono in poche parole tutto l’itinerario del popolo dalla schiavitù fino alla terra promessa. In termini giuridici, si passa da un rapporto padrone-schiavo, quello che legava Israele al faraone, a un rapporto in cui Dio è lo sposo d’Israele. Il tipo di rapporto cambia completamente: Israele non è più schiavo, è libero, perché è membro della famiglia di JHWH.
Come sarà il lavoro di un popolo libero? Nel libro del Deuteronomio (5,12-16), il sabato viene collegato direttamente con l’esperienza dell’esodo. Israele deve ricordarsi del sabato e osservarlo perché Dio lo ha liberato. Cosa significa? La risposta è semplice: uno schiavo non può decidere quando iniziare o finire il lavoro perché lavora sette giorni su sette, cioè finché vuole il padrone. Dopo l’uscita dall’Egitto, invece, ogni membro d’Israele ha il diritto di riposare un giorno alla settimana: il padre, la madre, i figli, i servi e le serve e persino l’asino e il bue. Nessuno in Israele può contestare questo diritto, perché è stato stabilito da Dio stesso, il solo e unico vero sovrano d’Israele. JHWH ha dato la libertà al suo popolo, nessun altro. Il riposo del sabato, pertanto, è un diritto «divino» e assoluto.
Il secondo testo è il capitolo 35 dell’Esodo, dove si parla della costruzione della tenda per il Signore. Per questo brano, la forma più bella del lavoro è il «servizio» liturgico e il primo grande «lavoro» compiuto nel deserto è la costruzione della tenda. Ricordiamoci che si usa la stessa parola per «servizio liturgico» e «lavoro». Questo «servizio liturgico» ha tre caratteristiche fondamentali. È un lavoro
- libero (vv.4-5);
- gratuito (v. 29);
- creativo (vv. 31-35).
Conclusione: Affermare che la nostra è una “Repubblica democratica fondata sul lavoro” significa dover assicurare a tutti la possibilità di lavorare, perché tutti i lavoratori devono essere nelle condizioni materiali e spirituali di contribuire all’organizzazione della vita politica, economica e sociale del Paese. Come ricordava giustamente Calamandrei, il lavoro, la garanzia del lavoro, le condizioni di lavoro, la retribuzione del lavoro sono il criterio con cui misurare l’uguaglianza di fatto degli uomini, quindi la democrazia o l’assenza di democrazia nella Repubblica.
III. Versetti coranici sul merito del lavoro
Nell’Islam, il lavoro è considerato di grande valore e viene incoraggiato come un dovere religioso. Ecco alcuni versetti del Corano che trattano questo argomento:
1. «con ciò che Dio ti ha dato cerca la dimora ultima, senza dimenticare la tua porzione quaggiù; sii buono come Dio lo è stato verso di te e non corrompere la Terra, poiché Dio non ama i corruttori» (Cor.28, 77).
2. «Egli per voi ha reso sottomessa la Terra. percorrerete dunque la sua superficie, mangiate del suo nutrimento. La Resurrezione avverrà verso di Lui» (Cor. 67, 15).
Questi versetti del Corano riflettono il valore del lavoro nell’Islam, che non solo è visto come un mezzo per guadagnare il sostentamento, ma anche come un modo per esprimere gratitudine a Allah e per contribuire al bene della società.
1 Tratto da: Jean-Louis Ska, Il lavoro nella Bibbia, Il lavoro nella Bibbia (notedipastoralegiovanile.it)